Nei Paesi a elevato sviluppo socio-economico, il carcinoma della prostata rappresenta la più frequente neoplasia maligna nella popolazione maschile, costituendo la seconda causa di morte per tumore dopo il cancro del polmone.
In Italia, il carcinoma della prostata è al terzo posto come frequenza, dopo il carcinoma del polmone e il cancro del colon-retto.
Nella fascia di età 60-64 anni, vengono diagnosticati circa 1000 nuovi casi di carcinoma della prostata ogni anno; tale valore aumenta in maniera esponenziale nelle fasce di età dei quinquenni successivi.
Diversi studi sono stati condotti per identificare fattori di rischio correlati all’insorgenza di un carcinoma della prostata, che comunque sembra riconoscere un’eziopatogenesi di tipo multifattoriale.
I principali fattori di rischio riconosciuti sono rappresentati da:
- Età
- Razza
- Fattori genetici (ereditarietà)
- Dieta (Elevato contenuto di grassi animali)
- Stile di vita occidentale
- Elevato numero di partner sessuali
- Fattori ormonali (Testosterone)
- Esposizione professionali (es. Cadmio)
La diagnosi precoce del carcinoma della prostata
Una dieta a basso contenuto lipidico e a elevato contenuto di fibre e fitoestrogeni rappresenterebbe un fattore di protezione, come dimostrato dalla bassa incidenza di tale neoplasia nelle popolazioni asiatiche e dall’aumento del rischio di sviluppare questo tumore negli individui di tali popolazioni che emigrano verso i Paesi occidentali, assumendone lo stile di vita.
Tuttavia, l’età e la presenza di androgeni circolanti biologicamente attivi, rappresentano i fattori di rischio più strettamente correlati all’insorgenza di carcinoma prostatico. Infatti la maggiore incidenza si riscontra nei soggetti maschi di età superiore ai 60 anni, e inoltre l’insorgenza di tale neoplasia è praticamente nulla negli eunuchi.
La diagnosi precoce del carcinoma della prostata mediante il ricorso al dosaggio del PSA sierico negli ultimi anni, ha determinato un netto incremento d’incidenza della diagnosi di tumori di basso grado.
Per tale motivo, spesso i pazienti con carcinoma della prostata sono del tutto asintomatici.
Tuttavia, la gran parte dei pazienti presenta un’iperplasia prostatica benigna (IPB) la cui sintomatologia correlata (mitto ipovalido, esitazione minzionale, pollachiuria, nicturia, urgenza minzionale e incontinenza da urgenza), rappresenta spesso il motivo di richiesta di un consulto urologico.
Ancora oggi però molti pazienti giungono alla diagnosi con i sintomi attribuibili all’estensione locale della neoplasia.
L’infiltrazione locale e l’interessamento di strutture adiacenti possono determinare la comparsa di una serie di sintomi rappresentati da ematuria e disuria, da incontinenza urinaria, impotenza, proctorragia e modificazioni dell’alvo: in questo caso si pone il problema della diagnosi differenziale con il carcinoma del colon retto.
Circa il 25% dei pazienti invece, alla prima osservazione, presenta i sintomi dovuti alla disseminazione metastatica della neoplasia prostatica. Le metastasi ossee rappresentano le principali forme di metastatizzazione del carcinoma della prostata e si localizzano soprattutto a livello del rachide lombare e delle ossa pelviche.
Dopo l’accurata indagine anamnestica che permette di rilevare i suddetti sintomi, la valutazione clinica del paziente, prevede un attento esame obiettivo, che deve comprendere oltre all’esplorazione rettale, la valutazione della distensione vescicale mediante la percussione della regione ipogastrica, l’esame degli arti inferiori e la ricerca di linfonodi palpabili.
L’esplorazione rettale è un esame di estrema importanza, in quanto circa il 70% delle neoplasie prostatiche origina dalla zona periferica della ghiandola.
Per la valutazione del rischio di carcinoma prostatico in un soggetto, all’esplorazione rettale deve seguire il dosaggio sierico del PSA (Antigene Prostatico Specifico) i cui valori normali sono compresi tra 0 e 4 ng/ml, anche se esistono piccole oscillazioni di tale range in relazione all’età e alla razza (diapositiva età-razza).
Un aumento dei livelli sierici di PSA può essere indicativo di una patologia prostatica. Il PSA tuttavia non può essere considerato un marcatore tumorale specifico del carcinoma prostatico, in quanto circa il 20% dei pazienti affetti da tale neoplasie presentano valori normali di PSA, mentre valori elevati si riscontrano in circa il 27% dei pazienti affetti da IPB; inoltre, valori elevati si riscontrano in caso di prostatite, o in seguito a manipolazione della ghiandola, come avviene in caso di massaggio prostatico o di biopsia.
In caso di esplorazione rettale negativa, e un valore di PSA compreso tra 4 e 10 ng/ml (zona grigia), un utile parametro di riferimento è rappresentato dal rapporto tra PSA libero e PSA totale, che dovrebbe essere superiore al 20%.
La decennale esperienza con l’utilizzo del PSA come marker di tumore della prostata, ha messo però in evidenza anche alcuni suoi limiti.
Il maggiore di questi è che il PSA non è prodotto soltanto dalle cellule prostatiche tumorali ma anche da quelle normali, per cui vi è un’ampia variabilità nei risultati influenzata da un’ ampia serie di fattori, col risultato in molti casi di una diagnosi non precisa.
Il livello di PSA aumenta in relazione alla grandezza della ghiandola prostatica, anche se l’aumento ha caratteristiche benigne, e in base all’età del paziente. Valori più alti possono riscontrarsi poi in corso di fenomeni infiammatori acuti (prostatiti), se il paziente è troppo sedentario o si è sottoposto nelle 24-48 ore prima del prelievo ad attività sessuale.
Per cui, ancora oggi che l’esperienza sul PSA è grande, rimangono molti casi nei quali basare la valutazione diagnostica esclusivamente sul valore del PSA espone lo specialista e il paziente a errori di valutazione che possono spesso condurre a un eccesso d’inutili esami strumentali (quali ripetute biopsie prostatiche ove non ce ne sia necessità).
Un nuovo marker specifico per la diagnosi precoce del carcinoma prostatico viene di recente utilizzato nei laboratori all’avanguardia in tutta Europa.
Il dosaggio del PCA3 è un nuovo test molecolare, basato sulla misurazione di un marker prodotto esclusivamente dalle cellule tumorali prostatiche e viene misurato effettuando un comune esame delle urine dopo aver sottoposto i pazienti a un delicato massaggio prostatico, con l’intento di far procedere nelle urine la maggior quantità possibile di cellule prostatiche.
Rispetto al PSA il valore del PCA3, oltre a derivare soltanto dalle cellule prostatiche tumorali e non dalla ghiandola sana, presenta la caratteristica di non essere influenzato da fattori diversi dal tumore quali le infiammazioni della prostata, l’ipertrofia benigna e l’attività sessuale.
La tecnologia utilizzata per il test del PCA3 è assolutamente all’avanguardia e si basa sulla TMA (transcription-mediated amplification), con la quale si recuperano e i dosano molecole di mRNA del PCA3 e, dal rapporto tra il PCA3 mRNA e il PSA mRNA viene estrapolato un punteggio finale (PCA3 score).
Un paziente che abbia uno score inferiore a 35 (che è il punto del cut off) ha ad esempio circa 3 volte meno la possibilità che gli venga diagnosticato il tumore prostatico, indipendentemente dal valore di PSA, rispetto a un paziente con punteggio superiore a 35.
Il riscontro di un’anomalia all’esplorazione rettale della ghiandola prostatica o il rilievo di elevati valori di PSA sierico e\o di PCA3 score elevato pongono l’indicazione all’ecografia prostatica transrettale (TRUS) eventualmente associata all’esecuzione di una biopsia ecoguidata di una lesione sospetta.
In caso di PSA aumentato e di negatività sia all’esplorazione rettale che alla TRUS, si procederà allora alla esecuzione di biopsie random; vengono eseguite tre o quattro prelievi, in sede paramediana apicale, intermedia e apicale per ogni lobo; tali prelievi vengono estesi anche alla zona di transizione.
L’indagine istologica dei campioni di biopsia prostatica rappresenta l’elemento indispensabile per la diagnosi del carcinoma della prostata.
L’impiego di strumenti a scatto rapido ha ridotto l’incidenza di errori correlati alla tecnica di prelievo e permette di ottenere campioni bioptici di buona qualità
La TAC oltre a presentare una sensibilità nel determinare un’invasione extracapsulare, viene eseguita per andare a rilevare la presenza di metastasi
La scintigrafia ossea total body, viene ancora oggi eseguita al momento della diagnosi di carcinoma della prostata, per la valutazione della presenza di eventuali metastasi ossee.
E’ importante sottolineare che alcune di queste indagini possono essere evitate nei casi di tumori di piccola estensione, con aspetto istologico non aggressivo e con PSA solo leggermente aumentato.
Il trattamento chirurgico del carcinoma della prostata è rappresentato dalla prostatectomia radicale, che consiste nell’asportazione completa della ghiandola prostatica e di entrambe le vescicole seminali e del tessuto adiacente.
I principali fattori di rischio riconosciuti sono rappresentati da:
- Pazienti con tumore di stadio T1-T2 (organo confinato)
- Aspettativa di vita di almeno 10 anni
- Assenza di controindicazioni alla chirurgia
Trattamento chirurgico del carcinoma della prostata
L’intervento di prostatectomia radicale è anche indicato nei pazienti con tumore di stadio T3 con un’estensione extracapsulare limitata, Gleason score inferiore ad 8, e PSA inferiore a 20 ng/mL.
Tale intervento chirurgico può essere eseguito con varie metodiche ovvero con accesso a cielo aperto, laparoscopico o laparoscopico robot-assistito.
Le complicanze post-operatorie correlate a tale intervento sono sostanzialmente l’incontinenza e la disfunzione erettile
Attualmente si ritiene che il 92% dei pazienti sottoposti a prostatectomia radicale retropubica presenti un completo controllo urinario, mentre circa il 10% dei pazienti presenta una qualche forma d’incontinenza, nella grande maggioranza dei casi tale disturbo si giova di una terapia non chirurgica che viene riservata solo ai casi più gravi.
Per quanto riguarda la disfunzione erettile bisogna sottolineare come tale complicanza sia di certo più frequente ma dipenda dal tipo d’intervento (soprattutto se è stato possibile conservare i nervi responsabili dell’erezione) ma nella gran parte dei casi la terapia con farmaci orali o iniettivi possa consentire al paziente una soddisfacente vita sessuale
Trattamento non chirurgico del carcinoma della prostata
La radioterapia e la brachiterapia, costituiscono una modalità alternativa per il trattamento del carcinoma della prostata, nei pazienti che rifiutino o in cui è controindicato l’intervento chirurgico.
La brachiterapia è indicata nei pazienti con carcinoma della prostata clinicamente localizzato, e con un’ aspettativa di vita di almeno 5 anni.
Tale procedura consiste nell’impianto di aghi precaricati con semi radioattivi che vengono posizionati all’interno del parenchima prostatico attraverso il monitoraggio di una guida ecografia transrettale.
Castrazione chirurgica o farmacologica
In caso di un cancro della prostata localmente avanzato o metastatizzato, il principale trattamento è rappresentato dalla soppressione androgenica, che può essere ottenuta sia attraverso la castrazione chirurgica (orchiectomia bilaterale) sia mediante la somministrazione a lungo termine di LHRH-agonisti (Releasing Hormon dell’ormone luteinizzante).
La soppressione androgenica, chirurgica o farmacologica, non incide sulla produzione di una quota residua di androgeni operata dalle ghiandole surrenali e corrispondente a circa il 5% della concentrazione totale degli androgeni; tali ridotte concentrazioni di androgeni che permangono dopo soppressione androgenica, potrebbero esercitare una stimolazione sulle zone ormono-sensibili del cancro prostatico.
Questa azione può essere annullata se si associa alla soppressione androgenica la somministrazione di farmaci con azione antiandrogena.